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08 settembre 2009

I sciàtt di Grytzko



DEI ROSPI FOSCHI


Dei rospi foschi nel salmastro ascosi
del padule su cui ragazzo esposi
dalla casa natale il mio subbuglio
(le finestre dischiuse al caldo estivo
dell'enigma notturno e al lato imbroglio
delle imbrigliate attese),
so e rammemoro il canto disgraziato,
lo sgraziato e amoroso blaterare,
il caparbio gracchiare e interrogare
lune fuggenti e divaganti stelle:
voce sorella nell'ignoto assillo
che perdura nel mondo e resta uguale,
senza risposta nell'ottuso andare
a una deriva che non sfama, schiva,
l'ansia antica e infantile di sapere
(il torbido patema, l'inquisire
ove sia il bene e come tanto male
assideri la voglia di campare).
Garruli rospi del paese oscuro
da cui mossi e cui torno malsicuro
nel pensiero del vostro brontolare:
che al mio somiglio, pavido lamento,
nell'umidore del fangoso stagno
dove con voi mi bagno,
a voi mi associo e incrocio.
In un vieppiù stremato e malcontento
gracidìo sonnolento, in un parlare
che si fa borbottìo. Che è quasi spento.

(Grytzko Mascioni, da Zoo d'amore, 1993)


"Forse serve sapere che sono nato e cresciuto in una casa che dava su un frutteto con angoli di giardino e una sorta di piccolo stagno popolato, oltre che di pesci, di rospi. In un paese dove il rospo (nel dialetto locale: sciàtt) è quasi l'umile animale araldico, poiché nei paesi vicini (dove pure non ci si può sottrarre a soprannomi più o meno lusinghieri) così ne vengono definiti gli abitanti, senza malanimo ma con un filo di bonaria ironia: Sciàtt de Vila. Animali più familiari credo di non averne più conosciuto, visto o frequentato." (N.d.A)